La frontiera invisibile : sull'Himalaya. In inverno. Senza corde. Bisogna correre o morire. by Kilian Jornet

La frontiera invisibile : sull'Himalaya. In inverno. Senza corde. Bisogna correre o morire. by Kilian Jornet

autore:Kilian Jornet [Jornet, Kilian]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Alpinismo
pubblicato: 2014-05-05T22:00:00+00:00


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Kyanjin

Si può vivere senza fare molte cose,

e si possono fare molte cose senza vivere.

José Luis Sampedro

Tutti dicono che le spedizioni sono fatte essenzialmente di giorni passati a non fare niente in una tenda del campo base, prima in attesa che il corpo si ambienti all'altitudine, poi che la montagna offra le condizioni ideali per salire. Più d'uno mi aveva descritto l'alpinismo sulle grandi montagne come un mese di clausura e di noia in una tenda, coronato, con un po’ di fortuna, da una grande ascensione negli ultimi giorni. Ma la nostra realtà è molto diversa. Immagino che, influenzato dal mio ritmo frenetico e dalla mia voglia di macinare metri di dislivello e vette giorno dopo giorno, Thomas si sia lasciato coinvolgere dall'idea di acclimatarci scalando varie cime al giorno, di portare il mio ritmo di allenamento a un'altitudine di quattro-cinquemila metri, e che Alexandr non abbia avuto altra scelta che seguirci, nonostante le sue obiezioni e riserve di fronte a questo metodo. Di mattine noiose al lodge non ne ricordo neanche una; ogni giorno facevamo una nuova ascensione, scalavamo una cima diversa di cinque-seimila metri, oppure un canale, percorrevamo un crinale o andavamo a fare una sgambata sul grande pianoro. Ogni giorno, a metà pomeriggio, tornavo al lodge soddisfatto, con le batterie scariche e contento di arrivare a “casa” e di avere un posto dove stendermi e far riposare i muscoli svuotati.

La noia, però, è il tarlo di ogni pomeriggio, quello che mi si mangia piano piano un'ora dopo l'altra. Dopo le cinque o sei ore di attività fisica del mattino, torniamo, sistemiamo l'attrezzatura, cosa che ci impegna una trentina di minuti, ci prendiamo un tè e cominciamo a osservare il lento scorrere del tempo, dei minuti e dei secondi fino all'ora di cena, e poi di nuovo, fino all'ora di andare a letto. Considerando che ci alziamo intorno alle sette, ci mettiamo in cammino non più tardi delle otto, e torniamo al lodge alle due, per far sera ci restano sei ore buone da ingannare. Le passeggiate o le ascensioni serali, che di solito facevo i primi giorni per tenere in forma il corpo e la mente, le ho dovute abbandonare per la stanchezza che mi lasciano le lunghe escursioni della mattina. Ho già finito i tre libri che ho portato con me. Potrei recitare a memoria il testo di tutte le etichette dei vestiti nello zaino, tutti gli ingredienti delle barrette energetiche, del cibo liofilizzato, dirti perfino, a occhi chiusi, la disposizione degli adesivi sui vetri interni ed esterni delle finestre del lodge. Conosco a memoria tutti gli angoli del villaggio, che ho percorso su e giù decine di volte, cosa che non richiede molto tempo in un posto in cui le case si contano sulle dita di una mano e sono per lo più chiuse durante l'inverno. Al di fuori delle facciate di pietra e cemento – di cui alcune decorate da fregi – e di qualche mucchio di letame di yak senza yak, non c'è praticamente nient'altro da vedere.



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